sabato 6 novembre 2010

Su Celestino V, il papa del gran rifiuto.

Dr Pino Razzano, Direttore di
“LA VOCE DEL SANTUARIO DI PIETRAQUARIA”
Avezzano

Caro Direttore,
nel n.2, dicembre 2009, della rivista da Lei diretta, la Prof. Antonella Smarrelli scrive di Papa Celestino V, definito da Dante: “Colui che fece per viltade il gran rifiuto”.

La Professoressa Smarrelli, citando G. Padoan, scrive: “comunque è certo, anche per concorde opinione delle fonti, che Celestino non fu all’altezza[…]. Più clementi di Dante preferiamo ‘ragionar’ su tale figura non sdegnarla a tal punto, imparare da essa che spesso siamo chiamati a sostenere il carico di un qualsiasi impegno che scaturisce dalla quotidianità, specie se rivestiamo ruoli decisivi, riflettere che spesso tanti si aspettano tanto o poco da noi”.Da persona, sia pure non specialista in materia, vorrei anch’io soffermarmi su questa grande vicenda.
A me pare che il giudizio negativo di Dante sulla rinuncia di Celestino non si riferisse all’ovvia considerazione, che una persona normale, che sente di non poter portare a termine un incarico, si dimette, si fa da parte.

Pietro da Morrone, poi Papa Celestino V, non è un uomo comune; Egli è una grande personalità: aveva promosso la Comunità del Morrone; era stato ricevuto dal Papa Gregorio X a Lione; si sentì in dovere, e di averne l’autorità, di rivolgere un aspra critica, di cui fu data lettura ai cardinali riuniti in conclave a Perugia; si era fatto portatore delle speranze di rinnovamento della Chiesa di Cristo; infine fu eletto papa. Dante esprime la sua severa critica perché, con la rinuncia alla carica di papa, Celestino delude, vanifica, si potrebbe dire tradisce, le speranze, le attese, del popolo cristiano, e dell’umanità intera.
Per una valutazione obiettiva e serena di questa vicenda, penso sia opportuno calarci nella situazione del Secolo XIII, che Celestino V (1215-1296) visse quasi per intero. Nel XIII secolo crebbe il grande turbamento fra il popolo cristiano per la politica e la condotta del papato: l’immoralità era diffusa, lo sfarzo che vi imperava rappresentava un offesa per la miseria del popolo cristiano; le cricche dei principi si disputavano la elezione dei papi con l’unico scopo di accaparrarsi terre, castelli e cariche; (memorabili le lotte, i misfatti e i delitti degli Orsini e dei Colonna). La Chiesa negava la separazione del potere spirituale da quello temporale e sostenne aspre lotte, guerre sanguinose, per imporre ai Principi e ai Re la supremazia del Papa. A questo scollamento fra la condotta delle gerarchie Vaticane e il popolo cristiano si contrapponeva l’azione di uomini come San Francesco che, fondando gli ordini conventuali, andavano incontro alle aspettative spirituali “dei poveri cristiani”. Ma ovviamente questi Ordini vennero mal tollerati, ed anche apertamente perseguitati dalla Curia romana (a titolo di esempio basti citare il frate francescano Pietro da Fossombrone - la storia lo ricorda come Angelo Clareno – che nel 1276 fu condannato al carcere perpetuo da un Tribunale Ecclesiastico).
La condotta di molti Papi, spesso, non era improntata alla carità cristiana. Infatti si usavano scomuniche e anatemi contro chi non si sottometteva ai voleri papali fino ad arrivare alle persecuzioni e al ricorso frequente alle condanne a morte.
Solo qualche decennio prima della elezione di Celestino, il Papa Innocenzo IV non solo aveva respinto la supplica di Federico II° affinché lo liberasse dalla scomunica[1], ma aveva anche pronunciato parole di fuoco, nell’enciclica Laetentur Coeli, per salutarne la morte (1250): “ esultino i cieli! Si rallegri la terra, perché con la morte del vostro persecutore sembra, per l’ineffabile misericordia di Dio, che siano mutati in dolce zeffiri e in dolci rugiade i fulmini e le procelle che sono stati lungamente sospesi sulle vostre teste…”[2]
E’ opportuno ricordare, che Federico II°, non era colpevole di atti sacrileghi: voleva solo unificare l’Italia e, inoltre, si batteva per mantenere divisi i poteri dello Stato da quelli della Chiesa[3]. Il papato invece voleva l’Italia divisa e, per cacciare gli Svevi, Papa Urbano IV si rivolse al Re di Francia, Luigi IX, lo straniero[4]. Quest’ultimo inviò in Italia suo fratello, Carlo I° d’ Angiò, che, con un armata di 30mila uomini , nel 1266 sconfisse Manfredi a Benevento e nel 1268 annientò il sedicenne “Corradino” nella battaglia di Scurcola (detta di Tagliacozzo), consolidando così il suo potere dispotico nel Regno delle Due Sicilie.
Dopo la vittoria, gli Angioini attuarono orrendi massacri, come già avevano fatto due anni prima a Benevento, dove fu sconfitto Manfredi. Gli Angioini furono spietati, infierendo con bestialità non solo contro i prigionieri, ma anche contro le popolazioni sospettate di aver parteggiato con gli Svevi. All’indomani della battaglia di Scurcola molti prigionieri furono giustiziati; ad Albe numerosi cittadini furono mutilati degli arti, altri bruciati vivi. A Sulmona, per ordine del Re, furono soppressi, senza processo, tutti i Ghibellini[5]. A Napoli si consumò, con la decapitazione, l’infanticidio di “Corradino”, ragazzo di 16 anni, consegnato a Carlo D’Angiò dal Papa Clemente IV. La ferocia con la quale Carlo I° si accanì sugli Svevi sconfitti a Benevento, costrinse Clemente IV a criticare la ” iniqua e scellerata condotta della feccia Angioina”, manifestando il suo disagio attraverso una risentita lettera inviata, nei primi mesi del 1267, al nuovo Re di Napoli, Carlo I° D’Angiò: “Se dobbiamo credere alla voce pubblica, le persone, che godono della tua confidenza e che hai messo a governare le province, si arricchiscono a spese delle popolazioni;e tu tolleri le loro malefatte, sia perché non dai loro uno stipendio sufficiente, sia perché trattieni quello che dovresti loro dare. Oppressi e dissanguati i popoli invano da te invocano giustizia… Se…vorrai…governare dispoticamente i sudditi, ti sarà necessario essere sempre coperto di corazza e tenere la spada in pugno e sempre avere in armi l’esercito”[6].
In questa drammatica situazione per la Cristianità Pietro da Morrone, prima di diventare Papa col nome di Celestino V, compì atti di rilevante importanza che lo collocano fra i grandi uomini della storia. Seguì lungo un itinerario di vita ascetica, dedicata a costituire Monasteri e centri religiosi, che, per la loro semplicità, si differenziavano in maniera netta dallo sfarzo e dalla mondanità dominanti nella Curia Romana. Nel 1.275 Celestino si recò a Lione, dove si teneva il Concilio, che, fra l’altro, “affrontò anche il problema della riforma dei costumi”[7], per chiedere il riconoscimento del suo Ordine[8].
Il Papa Gregorio X accolse la richiesta di Pietro da Morrone e accordò la protezione papale “al Monastero di Santo Spirito della Maiella”… stabilendo che “l’ordine Monastico istituito nello stesso Monastero sia osservato inviolabilmente in ogni tempo”[9]. Questo fu un evento di grande rilievo nel mondo cristiano, che accrebbe la notorietà e la stima verso Pietro da Morrone; ma la Comunità dei Morronesi ( si chiamarono Celestiniani dopo la elezione di Celestino V), dopo la rinuncia alla Tiara di Celestino, ebbe vita difficile, fu perseguitata, e infine sciolta nel 1302, da Papa Bonifacio VIII [10].
Il 5 luglio del 1294 Pietro da Morrone inviò ai Cardinali, da più di due anni a Perugia riuniti in conclave senza riuscire ad eleggere il Papa, un messaggio che interpretava un ampio malcontento del popolo cristiano; Egli scrisse: “Fratelli Cardinali, troppo lunga è la vedovanza della Chiesa di Cristo…una superiore ispirazione mi fa sentire che i castighi di Dio non tarderanno venire sopra di Voi e che non passeranno due mesi senza che di questi castighi Voi siate testimoni”[11] Le due fazioni dei cardinali, che facevano capo agli Orsini e ai Colonna, di fronte al malcontento e ai tumulti del popolo cristiano rapidamente arrivarono ad un compromesso e concentrarono i loro voti su Pietro da Morrone, che fu eletto papa col nome di Celestino V, il quale caratterizzò, il suo pur breve pontificato, attraverso atti di grande significato :
- protesse vari ordini di Frati, come gli spirituali di S. Francesco[12];
- rifiutò di benedire le truppe con le quali Carlo II° D’Angiò si apprestava a fare la guerra per la Sicilia, anche se suoi predecessori avevano benedetto le armi e le guerre[13];
- improntò il suo pontificato ad un metodo di grande probità, onestà e rettitudine, ispirandosi ai grandi principi del cristianesimo[14].

Silone con uno spartito teatrale ci tramanda un simpatico colloquio tra Celestino Papa e Frate Bartolomeo da Trasacco, suo aiutante, sulla richiesta del Vescovo dei Marsi, per la concessione di un privilegio alla nuova chiesa di Santa Maria della Vittoria, nella Scurcola:
Celestino V Santa Maria della Vittoria? Di quale vittoria si rende onore alla Madre di Cristo?
Fra Bartolomeo Si riferisce certamente a quella di Carlo D’Angiò su Corradino di Svevia. Ricorderai che, pochi anni fa, c’è stata quella grossa battaglia fra francesi e svevi, dalle nostre parti, tra la Scurcola e Tagliacozzo.
Celestino V la Madre di Cristo ha preso parte alla battaglia? E’ stata vista dalla parte dei francesi ?
Fra Bartolomeo che scherziamo? Ma i francesi erano stati chiamati dal papa.
Celestino V Non certo dalla Madre di Cristo: (Respinge con stizza la pergamena pronta per la firma).
Ma l’atto più rilevante compiuto da Celestino V fu la Bolla della “perdonanza”: “Bolla che elargisce l’indulgenza plenaria a tutti coloro che confessati e pentiti dei propri peccati si rechino nella Basilica di Santa Maria di Collemaggio della Città di L’Aquila dai vespri del 28 di agosto al tramonto del 29”.

Emerge chiaramente che Celestino V non poteva non essere consapevole, della situazione esistente al momento della sua elezione; non poteva quindi ignorare la grande aspettativa e speranza nella possibilità concreta di un cambiamento che la sua chiamata a Vicario di Cristo aveva prodotto fra tutti gli uomini della terra, cristiani e non.

Invece Celestino decide di mettersi sotto le ali del Re angioino, Carlo II°, e mantiene la Sede apostolica a Napoli, quasi ospite, “e con un certo gradimento”[15], di un Re, “scellerato e iniquo”. Avendone la possibilità, non prende in mano la bandiera del rinnovamento della Chiesa di Cristo di cui aveva invocato la necessità e poi, infine rifugge da ogni responsabilità rinunciando addirittura ad essere Papa.

Come giudicare allora la sua figura? Come valutare il suo “coraggio”, anche alla luce degli esempi di altri uomini, da Gesù di Nazaret, che consapevolmente sacrificò la sua vita “per la salvezza dell’Uomo”; a Sant’ Ambrogio, Sant’Agostino e tanti altri; cosa pensare allora del sacrificio dei martiri cristiani, come Policarpo (Santo) morto nel 155, vescovo di Smirne, che salì sul rogo cui era stato condannato elevando una preghiera a Dio: “Signore Dio onnipotente … tu sia benedetto per avermi giudicato degno di questo giorno e in quest’ora di prendere posto nel novero dei martiri, nel calice del tuo Cristo… Che io sia fra essi accolto oggi al tuo cospetto in qualità di pingue e gradito sacrificio.”[16]
Infine, nella storia recente, nei campi di sterminio nazisti, si possono elencare esempi di coraggio sublimi, come la madre, che nella fila per la Camera a Gas, scansò il figlio e ne prese il posto, così salvandolo, o Padre Massimiliano Kolbe che si offrì per salvare la vita di un padre di famiglia. Questi e tanti altri sono stati atti di coraggio compiuti nella consapevolezza di dare la propria vita per quella di un altro, per una causa
Certo a nessuno si può chiedere di essere Martire o Eroe, ognuno agisce secondo la propria fede e le sue convinzioni, nelle circostanze in cui è chiamato ad agire, valutandone le conseguenze. Però, se un soldato che non indietreggia di fronte al nemico è chiamato eroe, quando fugge, pur con tutte le attenuanti, sarà definito vigliacco!

Celestino, prima di indossare la Tiara, simbolo del Papato, si interroga: “ e se per non peccare di presunzione, peccassi di viltà e di sfiducia nell’aiuto dello Spirito Santo ?”[17]
Quindi si può considerare con assoluta tranquillità che con quella critica Dante volle, sia pure severamente, stigmatizzare l’atto di fuga Celestino di fronte alle responsabilità di uomo, di cristiano, e di Papa, a cui non bisogna mai venire meno. Il giudizio di Dante è netto e severo, ma non si può non essere d’accordo con lui !

Tanto importante era stato il ruolo di Celestino V e la speranza di rinnovamento suscitata, che dopo l’abdicazione il suo successore, Bonifacio VIII, già suo interessato consigliere, temendo sollevazioni popolari, lo fece catturare e lo rinchiuse nel Castello di Fumone ( Ferentino - FR), “in una cella che da una parte misura poco più di un metro di larghezza, dall’altra parte, fra un muro dritto e uno ad ansa poco più di 40 centimetri; per una lunghezza di quattro metri” [18]. Il Papa Celestino, rinchiuso in così ristretta cella dal suo successore, morì (assassinato?)[19] il 12 maggio 1296, all’età di 81 anni.
Celestino morì di morte naturale o assassinato?
La tesi dell’assassinio è ipotizzata, come ci ricorda Ignazio Silone, dal drammaturgo cattolico tedesco Schneider in un dramma teatrale del 1950.) Scrive Silone: “E’ anche sintomatico che, nei nostri giorni, il drammaturgo cattolico tedesco Reinhold Schneider abbia accettato in pieno le versione dell’assassinio nel suo dramma celestiniano ( Der grosse Verzicht, Insel Verlag 1950, anno V,scena II )”. Lelio Marini[20], il più informato biografo di Celestino V proverà a dimostrare, con un’accurata e puntigliosa disamina di numerosi reperti storici che Pietro da Morrone fu barbaramente ucciso per ordine del Papa Bonifacio VIII. Il 5 Maggio del 1313, in Avignone, Celestino venne proclamato Santo dal Papa Clemente V .
Avezzano, lì 5 Febbraio 2010
Antonio Rosini.
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[1] Indro Montanelli – Storia d’Italia – vol I - pag.576
[2] Ornella Mariani - La Battaglia di Scurcola Marsicana, edito dal Comune medesimo- 2009, pag. 55
[3] Indro Montanelli – Storia d’Italia – vol I - pag. 579
[4] Montanelli vol. 2° pag.21
[5] Ornella Mariani - La battaglia di Scurcola Marsicana, (detta di Tagliacozzo) edito dal Comune medesimo-2009, pag. 124
[6] Ornella Mariani - La battaglia di Scurcola Marsicana , edito dal Comune medesimo-2009, pag. 63
[7] Celestino V - di ANTONIO SERRAMONESCA - IMPRAMATUR Aquilae, 28 Februarii,1967 COSTANTINO STELLA Archiep. Aquilanus- Presentazione di CARLO Card. CONFALONIERI - Japadre Editore l’Aquila-1968, pag. 61-62
[8] Ignazio Silone, L’avventura di un povero cristiano pag. 258 –“ L’Ordine già riconosciuto de facto da Urbano IV nel 1.263, ma in seguito, contro il moltiplicarsi di nuovi ordini religiosi, venne riesumata una deliberazione del Concilio del Laterano del 1215 che li vietava, il riconoscimento era stato revocato.
[9] Celestino V - Japadre Editore l’Aquila-1968, pag. 62
[10] Ignazio Silone L’avventura di un povero cristiano pag. 259
[11] Celestino V - Japadre Editore l’Aquila-1968, pag. 125-126
[12] Ignazio Silone - L’avventura di un povero cristiano pag.51
[13] Ignazio Silone - L’avventura di un povero cristiano pag.155-156
[14] Ignazio Silone - L’avventura di un povero cristiano pag.151
[15] Ignazio Silone –pag.258
[16] - Corrado Augias – Remo Cacitti - Inchiesta sul cristianesimo –Mondadori-2008, pag.120
[17] – Silone pag. 115
[18] – Celestino V - Japadre Editore - L’Aquila 1968 Pag. 187.
[19] – Ignazio Silone - pagina 260
20 – Lelio Marini, Abate Generale della Congregazione dei Celestini, nel 1630, denuncia l’assassinio di
Celestino V (Wikipedia)


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